mercoledì 23 maggio 2012

Mani sapienti - primo racconto della serie Tayzak, un amore di demone


Riassunto

Syael era un angelo, ma durante la Prova ha perduto le ali. Però non è diventata umana e non è neppure morta, è diventata qualcosa di diverso, qualcosa che Diviana, la regina del suo clan cerca di tenere segreto. Syael ha anche acquistato un dono: riesce a percepire ricordi ed emozioni di chi ha posseduto un oggetto solo toccandolo. Diviana, la sua regina, la manda da Loriant, il potente arcangelo di NY, per aiutarlo a scoprire chi ha rapito Eriel, la sua compagna. Eriel è una negromante e grazie al potere della veridica si scopre che è stata rapita da un demone e da uno zombie. Syael dovrà collaborare con Tayzak, il bellissimo demone del fuoco, per salvare Eriel e arrivare prima che accada l’irreparabile.

Estratto


Avevo passato tre giorni di dolore, malgrado la morfina: la perdita delle ali era la tortura peggiore che un angelo potesse immaginare. Di solito uccideva. Io non ero morta, ma ricordo di averlo desiderato. Alla fine le ferite si erano rimarginate lasciando due vistose cicatrici. Poi anche le cicatrici erano diventate sottili come ricordi quasi dimenticati. E le mie mani avevano iniziato a vedere: toccando gli oggetti percepivo sentimenti e immagini di chi li aveva posseduti o anche soltanto sfiorati. Vedevo chiaramente il passato, ma a volte anche il presente e il futuro. Le emozioni forti erano molto più chiare di quelle tranquille: la paura era un’immagine ad alta definizione, il terrore un film in 3D.
Diviana aveva iniziato a usarmi: per trovare chi spariva, per sapere chi aveva ucciso o rapito i suoi discepoli. Il mio era un potere raro, antico, il potere dei Primi. Più antico persino di lei. Per questo, malgrado non avessi più le ali, venivo tenuta in grande conto e trattata con rispetto. Ma non ero più un angelo e non ero neppure umana. Non trovavo una collocazione fra i miei coetanei, che presto m’isolarono, gelosi della posizione che Diviana mi aveva concesso e diffidenti a causa della mia natura. Non riuscivo a toccare niente che fosse stato usato da altri, lo spazio in comune era un incubo di emozioni e sentimenti che mi ronzavano attorno come uno sciame d’insetti o che, alla peggio, mi azzannavano all’improvviso.

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